1º maggio a Parigi: la necessità di organizzarsi

In risposta all’articolo precedente, un compagno presenta la sua analisi sullo svolgimento della manifestazione del 1º maggio a Parigi, e in particolar modo nella parte più nera del corteo di testa. Confutare le critiche anti-autoritarie all’autoritarismo del Black bloc non significa astenersi da considerazioni più perplesse su tre nodi problematici: la necessità di organizzarsi, le responsabilità individuali e collettive, l’indipendenza del movimento radicale.

 

8 maggio

 

Gli striscioni dell’ormai famoso corteo di testa, che ormai non ha bisogno di presentazioni, si raggruppa al centro del ponte. Dietro, un Black bloc di circa 1200 persone (secondo la polizia) è pronto a dare il via alla manifestazione.

Negli scorsi giorni, come del resto succede dopo ogni manifestazione in cui ci siano sfasci, sono apparsi molti articoli su Internet a fustigare i metodi del Black bloc, invitandolo a farsi più discreto. Ovviamente non si tratta di articoli del Figaro, della BMF TV o di altri organi di propaganda mediatica del sistema capitalista che ci governa. Sono articoli come Appello ai convinti: una critica anti-autoritaria del Black bloc, pubblicati su siti come Paris-Luttes.

Prima di tutto, vorrei rimettere in questione queste accuse. Il Black bloc non è un’entità politica. Il Black bloc non porta in sé la responsabilità collettiva di un’organizzazione sindacale e/o politica. È un assembramento di piccoli gruppi di individui che alle volte si organizzano tra loro. Questi gruppi agiscono liberamente e in piena coscienza. Non ci sono poliziotti o fasci infiltrati all’ordine dello sfascio — e se ci sono, sono pochi.

La tattica del black bloc (perché di tattica si parla, e non di movimento) permette a ciascun individuo d’intraprendere individualmente un’azione, che può essere seguita o meno da altri individui. Ciascuno è responsabile delle proprie azioni. Non esiste alcuna gerarchia alla quale ricondurre le responsabilità.

In questo senso, la tattica del Black bloc si ispira all’ideologia anarchica. Niente leader né capi o altre forme di autorità — per quanto nell’articolo sopracitato si auspichino atteggiamenti meno autoritari nel corteo di testa. Il Black bloc appare se la situazione è propizia, se gli sguardi sono complici e se i manifestanti decidono, ciascuno individualmente, se indossare un k-way e un cappuccio oppure no. Ancora una volta: nessuno decide. Nessuno obbliga. 

È la somma delle decisioni individuali che crea la situazione. Ed è in questo che risiede tutta la forza di queste azioni. Non c’è alcun gruppo autoritario o decisionale a intraprenderle, e mai ci sarà.

A volte, in questo articolo, si parlerà di un “noi” per designare la composizione in Black bloc dei manifestanti radicali. Non fraintendete: questo “noi” non esiste. È semplicemente funzionale alla lettura e alla comprensione.

La necessità di organizzarsi

Non mentiamo a noi stessi: ci è stata data una lezione il primo maggio 2018.

Malgrado le minacce governative sull’intensificazione dei controlli nei pressi della manifestazione, nonostante il dispositivo poliziesco, nonostante il meteo e le organizzazioni sindacali, noi eravamo lì, forti di un corteo di 15mila persone non-sindacalizzate. La forza del corteo di testa sta tutta qui, nella sua capacità di riunire più di 10mila persone dietro i 1000 o 2000 “radicali” (secondo le fonti).

Queste 10mila persone, perlomeno, conoscevano bene le intenzioni del Black bloc, ed erano lì anche per esprimere la loro solidarietà. Che lo si voglia o no, il corteo di testa è legato al Black bloc oramai da due anni, e chiunque ne faccia parte durante una manifestazione nazionale a Parigi sa che ci sarà un Black bloc. Ognuno lo accetta, e magari lo sostiene. 

La legittimità a raggrupparsi in un Black bloc non va più giustificata. Se fosse una pratica vituperata all’interno del corteo, non esisterebbe già più. Succede invece che il corteo diventa ogni volta più grande, e così anche il Black bloc. Esiste dunque una tacita legittimità da parte dei manifestanti “pacifisti” (leggi: che non sono lì per distruggere alcun simbolo del capitalismo o affrontare la polizia) all’interno del corteo di testa.

Ora, bisogna porsi le giuste domande. Questo corteo forte di 15mila persone si è fatto sparpagliare dai CRS in un’ora appena, nonostante i 4 o 5 striscioni rinforzati retti da manifestanti incappucciati, alcuni tra i quali muniti di casco, maschere antigas, occhiali di protezione…

Dietro, invece, cosa succede? Tornerò più tardi sugli eventi che hanno portato allo sbando. Concentriamoci prima di tutto sull’organizzazione.

Tenevo anch’io uno striscione durante la manifestazione. Poi, il mio compagno si becca un sampietrino (amico) sul braccio. Deve lasciare lo striscione, e non riuscirà a muovere il braccio per il resto del pomeriggio. Mi giro e chiedo che qualcuno lo sostituisca. Silenzio radio. Urlo perché mi sentano. Nessuno. Con il mio compagno, che teneva ancora lo striscione insieme a me, prendiamo una decisione: ritirata.

Due persone sono troppo poche per tenere uno striscione, anche se rinforzato, e noi ci stiamo già prendendo molti rischi, sia per noi stessi che per tutti i manifestanti dietro di noi.

Ma cos’è successo? Eppure una folla di k-way si estendeva dietro di noi. Quando le forze dell’ordine si sono avvicinate, poi, tutti quanto hanno indietreggiato fino al Pont d’Austerlitz, anche se avevamo già superato la Gare d’Austerlitz e ci stavamo dolcemente avvicinando all’Ospedale. Eravamo più di 1000, e non ci sono stati scontri con gli sbirri mentre ci aspergevano coi gas lacrimogeni. Abbiamo beatamente indietreggiato.

In certi momenti abbiamo avuto paura, che tutto sommato è normale. Ma soprattutto non abbiamo saputo cosa fare. 

Dopo essere stati allontanati dai CRS, abbiamo tentato di unirci al corteo sindacale (CGT e altri) per evitare di farci accerchiare dagli sbirri. Abbiamo corso a perdifiato e abbiamo bene o male lottato per evitare le nasse. 

Sfortunatamente, non c’è stato alcun tipo di organizzazione collettiva degna di questo nome. Non c’è stato alcun movimento che potesse portare a uno scontro (violento o meno) contro i CRS. Ci hanno dato la caccia, senza nemmeno malmenarci in modo particolare, e noi lo abbiamo accettato. 

Lungi da me l’idea di proporre un raggruppamento sindacale o un’autorità centrale per gestire la manifestazione. La bellezza del corteo di testa sta nella molteplicità delle tattiche e delle individualità.

Ciò nondimeno, nei momenti critici, ciascuno deve essere capace di proporre un movimento collettivo e di iniziarlo. 

In quanto per la maggior parte militanti autonomi e/o anarchici, occorre sapersi assumere le proprie responsabilità individuali senza schiacciare la forza di un gruppo per uscire da alcune situazioni o generarne delle altre. 

Mi sembra incredibile che siamo capaci di portare con noi petardi, fumogeni, martelli, coltellini e oggetti incendiari nonostante i dispositivi polizieschi e una repressione giudiziaria in espansione, ma nel momento in cui si sbanda nessuno propone individualmente delle soluzioni per il gruppo. 

Siamo anti-autoritari, ma possiamo comunque organizzarci! Dobbiamo organizzarci sia per attaccare che per difendere.

Responsabilità individuale e collettiva: l’impegno

La responsabilità individuale è una nozione molto importante nei movimenti anarchici (non si considera qui il Black bloc come anarchico, dal momento che è una tattica; ma è una tattica che si iscrive nei movimenti anarchici dagli anni ’80 in Germania, e particolarmente mediatizzata nel 1999 a Seattle).

Responsabilità individuale significa sapere cosa occorre fare e quando farla, senza avere un’entità statale e/o divina sopra la propria testa. 

Questa responsabilità, si intende, ben si applica ai movimenti radicali di contestazione. Per riprendere l’esempio del paragrafo precedente: la persona che ha lanciato un sampietrino sul braccio del mio compagno a pochi metri da lui perché non lo sa fare come si deve non ha dato prova di responsabilità individuale. È stato sicuramente un incidente, ma è compito di tutti fare attenzione alle proprie azioni e compierle nella maniera più corretta possibile. 

Responsabilità individuale è quando la persona che ha portato fuori una macchina da una concessionaria Renault ha deciso di darle fuoco. In quel frangente, essere responsabili significava darle fuoco in mezzo alla strada invece che ai piedi di un edificio. 

Senza nemmeno stare a discutere sui rischi per la vita degli abitanti — fatto abbastanza evidente — consideriamo questo fatto: una volta che l’edificio ha preso fuoco, la repressione si riverserà in maniera troppo dura, se comparata all’equipaggiamento di cui la maggior parte della folla disponeva. 

Dare fuoco alla macchina di una multinazionale, sì. Mettere in pericolo gli abitanti di un edificio, no. 

Responsabilità individuale e collettiva di chi gli stava attorno era quella di riflettere sulle conseguenze di quel gesto e di evitarle (se ce ne fosse stata la possibilità). Non a nome di un gruppo o di un’ideologia, ma in nome di una logica di lotta.

(Fortunatamente, alcuni manifestanti sono rapidamente saliti per avvertire gli abitanti del pericolo).

Volevamo danneggiare i simboli del capitalismo, volevamo scontrarci con le forze dell’ordine, volevamo attaccare il commissariato qualche centinaio di metri più avanti. La responsabilità individuale viene prima di quella collettiva, in questo caso. E l’errore di uno solo ha portato alla fine di un corteo che si voleva imponente e rivoluzionario. Dopo questo avvenimento, ne è seguita una sbandata disorganizzata e frustrante.

Sbandamento e corteo sindacale: l’indipendenza del movimento e i media

Abbiamo dunque indietreggiato dalla Gare d’Austerlitz fino all’inizio del ponte, e poi addirittura sul ponte, per poi renderci conto di essere stati accerchiati.

Mentre alcuni compagni venivano intrappolati nel Jardin des Plantes, abbiamo indietreggiato praticamente fino a Bastille. Sul ponte, ciò che restava del corteo si è frammentato a destra e a sinistra, e un’altra volta appena dopo il ponte: una parte è stata accerchiata, l’altra ha proseguito verso Bastille. C’è stata un’altra nasse, e quindi è partito un corteo selvaggio nelle vie del 12º e 11º arrondissement. I manifestanti, due o trecento, a volto coperto o meno, correvano e decidevano assieme ad ogni angolo che direzione prendere. 

In quell’istante di smarrimento, mi sembra che le decisioni collettive del corteo selvaggio siano risultate utili e adeguate. Ci hanno infatti permesso di arrivare in Place de la Bastille senza ostacoli, senza arresti (per quanto ne so) e lasciandoci dietro parecchi danni ai simboli del capitalismo. 

Perché siamo stati incapaci di iniziare azioni simili quando eravamo più di mille?

È successo che, durante la prima parte della manifestazione, eravamo (come l’anno scorso) convinti della solidarietà di un corteo sindacale che non ci avrebbe lasciato soli.

Se l’anno scorso le autorità del corteo avevano deliberatamente lasciato passare dei CRS perché ci accerchiassero, quest’anno il corteo sindacale ha deciso di cambiare itinerario per lasciarci nelle mani delle forze dell’ordine.

Conviene chiedersi una volta di più cosa abbiamo a che spartire con persone del genere.

Sfortunatamente, è proprio il contesto della manifestazione sindacale ad averci permesso di esistere agli occhi dei media, almeno fino ad oggi.

Anche se il trattamento che i media ci riservano è sempre negativo, sempre di trattamento mediatico si tratta. Nella società dell’immagine in cui viviamo, non abbiamo altra scelta se non di esporci sui social network e sui media tradizionali per portare il nostro messaggio al maggior numero di persone possibile. 

Seppure sia evidente che “il maggior numero” non ci interessa più di tanto, vogliamo che il nostro messaggio e/o ideologia si diffonda. Anche in maniera maldestra. 

Inoltre, com’è già stato detto prima, il corteo di testa bene o male ingrandisce a vista d’occhio, e ciò significa che la mediatizzazione — anche se negativa — porta effettivamente a risultati positivi.

Siamo tutti consapevoli che la rivoluzione che sogniamo non si farà in mille. Neanche in 15mila. Abbiamo bisogno di focolai di rivolta ovunque in Francia, nelle università, nella ZAD, nei licei, nelle imprese, nel corteo di testa…

Quale spazio dare ai media nei nostri cortei? Quali spazi occupare in queste manifestazioni sindacali sempre più ostili e disposte a metterci in pericolo? Dovremmo smetterla di prendervi parte e iniziare le “nostre” azioni per garantire la sicurezza del nostro corteo?

Ma come diffondere il nostro messaggio e la nostra rabbia partendo solo in corteo selvaggio, senza alcuna copertura mediatica? In questo caso, a parte i rischi e la terapia di gruppo, non ne trarremmo molti benefici…

Viviamo sfortunatamente in una società dell’immagine nella quale, per convincere le persone a convincersi (i non-sindacalizzati, i giovani e meno giovani dei “quartieri sensibili”, i liceali non politicizzati…) c’è bisogno di una copertura mediatica. Qualunque sia la lotta (la ZAD, le manifestazioni, le occupazioni, i blocchi…), abbiamo bisogno di immagini eclatanti.

Qualche proposta

Organizziamoci in maniera collettiva: ad esempio, si potrebbe fare cassa comune per comprare un tot di maschere antigas e di occhiali di protezione. Se la contestazione dovesse inasprirsi, bisogna che i meno preparati tra di noi si equipaggino per la loro difesa personale e per la coesione del gruppo. 

Facciamoci più responsabili individualmente e collettivamente: non dobbiamo avere paura di affermare le nostre posizioni se qualcuno compisse una scelta “sbagliata” durante un’azione. Dobbiamo essere solidali e determinati. 

Riflettiamo sui nostri spazi di lotta. Se, durante la manifestazione sindacale, veniamo lasciati alla nostra sorte, dobbiamo pensare a monte a degli itinerari-bis per ogni manifestazione. 

Chi soffrisse dell’autorità nel corteo di testa è invitato a proporre e a iniziare delle azioni. Saranno i benvenuti. 

A molto presto, più forti e determinati che mai!


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