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Libere tutti!


PROCESSO G20 – SI PUÒ CONSIDERARE UNA MANIFESTAZIONE «BANDA CRIMINALE ORGANIZZATA»?

Il processo è destinato a scrivere un capitolo della storia giuridica tedesca e potrebbe compromettere irreversibilmente il diritto a manifestare.

Articolo apparso su lundimatin#173, il 7 gennaio 2019

Il 18 dicembre scorso si apriva l’incredibile processo a cinque persone arrestate nel corso del G20 di Amburgo nel luglio 2017 (avevamo diffuso in quell’occasione un appello). Perché incredibile?
1) Perché fa seguito a una delle più grandi sconfitte dell’ordine pubblico tedesco, durante il contro-vertice di Amburgo del luglio 2017 (al riguardo, i report pubblicati al tempo su lundimatin quiqui)
2) Per carattere esemplare : 5 le persone giudicate, ma il processo si è aperto con il resoconto di tutte le degradazioni commesse nella mattina del 7 luglio, come se gli imputati dovessero rispondere anche di queste
3) Per i mezzi impiegati dallo stato per vendicarsi: una propaganda mediatica senza precedenti, appelli alla delazione, perquisizioni, mandati d’arresto europei, 180 inquirenti a tempo pieno per 15 mesi
4) Per le innovazioni, come l’enorme schedatura automatizzata dei manifestanti attraverso un software di riconoscimento facciale acquistato per l’occasione, o la creazione di un portale di ricerca che permette agli «onesti cittadini» di inviare video personali per aiutare gli inquirenti: una delazione a malapena mascherata. 100 terabyte di informazioni, 32mila file tra immagini e video, il tutto senza alcun inquadramento legale.
5) Malgrado tutto, per qualche imprevisto: il dossier è pieno, ma ben vuoto al momento di fornire prove affidabili circa i 5 detenuti, a cui viene contestato soprattutto di essere stati… presenti al contro-vertice; la giudice non sembra disposta ad avallare i nuovi metodi della polizia tedesca e il loro fondamento politico senza esaminare attentamente il dossier; il commissario alla protezione dei dati di Amburgo ha ordinato la soppressione del database utilizzato dalla polizia.

« Questa è dunque l’atmosfera nella quale si è aperto questo processo-spettacolo, su cui ogni attivista, giurista o politichetto è d’accordo: è destinato a scrivere un capitolo della storia giuridica tedesca e potrebbe compromettere irreversibilmente il diritto a manifestare. »
Tutti sanno che la giustizia non è altro che un volgare teatro in cui i ricchi e i loro ausiliari se la prendono con i poveri e con i ribelli. Ma questo teatro non sarà valido per sempre. È spesso un espediente raffazzonato. A volte sembra persino troppo ben oliato per il suo gioco d’anticipo, povero di recitazione. La pièce che si è aperta nella mattinata di martedì 18 dicembre al tribunale di Amburgo si annuncia al contempo allettante (29 udienze fissate nei prossimi 6 mesi) e più sorprendente del previsto. In atto, un copione mal scritto, imbarazzanti errori di casting e un intervento del tutto inatteso.
Cerchiamo di decriptare.
La sinossi è ben nota. Da un lato, la città di Amburgo, i suoi sbirri e la sua giustizia in cerca di rivalsa dopo l’umiliazione subita in seguito alle rivolte che hanno rovinato il loro G20 nel 2017, che si è giocata il tutto e per tutto per costruirsi un successo strepitoso. La promozione del processo è stata in gran parte affidata ai media. Gli appelli alla delazione, le perquisizioni, i mandati di arresto europei e gli altri arresti avvenuti all’estero danno l’illusione di un efficace lavoro da parte degli inquirenti (180 agenti a tempo pieno per 15 mesi, ad ogni buon conto).
Dall’altro lato, cinque co-imputati, smascherati, tracciati, arrestati e (tre di loro) detenuti, che devono pagare per alcuni fatti che gli sono contestati: in particolare, la loro partecipazione al saccheggio express dell’Elbchaussee, una via altolocata di un quartiere borghese della città, nella mattinata di venerdì 7 luglio 2017. Nel giro di pochi minuti, questa passeggiata contro l’incontro dei potenti del pianeta avrebbe causato più di un milione di euro di danni, attaccando sistematicamente i simboli del denaro e del potere: banche, consolati, veicoli e attività commerciali, tra cui un famoso negozio scandinavo di mobilio scadente.

La manifestazione contro il G20 risale l’Elbchaussee

Da un lato, dunque, cinque giovani sotto i 25 anni, quattro tedeschi e un francese. dall’altra, un’armada di poliziotti, giudici, politici e giornalisti convinti della loro colpa. Ma di che colpa si tratta, esattamente? Ecco il busillis apparso evidente agli occhi di tutti durante la prima giornata d’udienza.
Dopo aver alzato in ritardo il suo sinistro sipario — a causa delle decine di persone assembrate a sostegno degli imputanti davanti agli altoparlanti e nella sala — il tribunale ha proceduto con la lunga lettura degli atti di accusa, e a quella ancora più soporifera delle degradazioni causate dalla manifestazione mattutina. Un lunga litania di targhe di veicoli incendiati, di stime dei danni di ogni vetrina rotta. Perché è di questo che si sta parlando. Quando le auto bruciano e le vetrine saltano, lo Stato chiede che venga condannato chi brucia le auto e fa saltare le vetrine.
Ciò che non poteva non stupire i commentatori di ogni sponda è l’assenza di qualsivoglia legame tra le persone incolpata e i fatti incriminati. In altri termini: questo processo, annunciato ovunque come «quello contro gli appicciafuoco dell’Elbchaussee», fa comparire come imputate cinque persone a cui non è assolutamente contestato l’incendio di veicoli o la distruzione di vetrine.
Ciò che viene loro contestata, essenzialmente, è la loro supposta presenza a questa manifestazione — e a qualche gesto supplente nel caso del nostro amico Loïc. E ciò che il procuratore, ovverosia lo Stato, intende provare nel corso dei prossimi mesi, è che si può benissimo condannare a svariati anni di carcere duro delle persone presenti a una manifestazione nel corso della quale hanno avuto luogo degradazioni, senza dover per forza dimostrare che queste persone abbiano preso parte attiva in questi atti.
Per riuscire in questo gioco di prestigio, bisogna riuscire a trasformare una manifestazione politica in una banda criminale organizzata. È questa la prodezza che si appresta a compiere Tim Pashowski, procuratore di Amburgo.

Bimba + auto carbonizzata = pathos. Sottile illustrazione di un articolo dello Spiegel a proposito dell’apertura del processo

Ma ecco che questo dramma costruito dal ministero può trasformarsi in una satira acerba! Sì, perché — se pure la difesa ha constatato da mesi il vuoto del dossier (malgrado le sue migliaia di pagine) — sembra che questo vuoto non sia sfuggito nemmeno alla presidente della 17a camera penale. Durante le negoziazioni orali preliminari, Anne Meyer-Goring ha stimato delle pene massime nettamente inferiori a quelle auspicate dal procuratore, e ha richiesta, invano, la liberazione sotto condizionale di due dei detenuti. Questa giudice della corte di giustizia giovanile (due degli imputati erano minorenni all’epoca dei fatti) si è già resa illustre per aver inflitto in passato severe umiliazioni al lavoro degli inquirenti (accusandoli in particolar modo di aver gonfiato dei dossier sotto pressioni politiche e mediatiche). Di fronte a un tale rischio di rifiuto, il procuratore ha ben pensato di richiedere la sua estromissione dal processo a inizio dicembre! La sua richiesta è stata respinta, e sarà dunque lei a presiedere questo processo fiume in cui la giustizia avrà per compito quello di convalidare o rigettare i nuovi metodi repressivi della polizia tedesca e i loro fondamenti politici (la criminalizzazione dell’insieme delle persone presenti a una manifestazione).

P.s.: lungi da noi comunque la volontà di fare l’elogio di un magistrato che se, da una parte, si erge in difesa del “buon diritto” contro certe derive politico-poliziesche, dall’altra abbraccia in pieno le logiche dell’accusa proponendo pene che vanno fino ai tre anni di prigione.

Tra le più gioiose innovazioni troviamo l’enorme schedatura automatizzata di abitanti e manifestanti grazie a un potente software di riconoscimento facciale acquistato per l’occasione. Decine di migliaia di volti sono stati registrati, selezionati, classificati e archiviati secondo dei «profili di identità facciale biometrica» che permette di riconoscerli in altre immagini, di seguire i loro movimenti in una folla, eccetera. Tutto questo non dispone di alcun inquadramento legale, e non sono solo gli attivisti e i loro avvocati a rendersene conto. Martedì, nel preciso istante in cui si apriva il processo dell’Elbchaussee, il commissario alla protezione dei dati di Amburgo ha ordinato la soppressione di questo database. Parliamo di già di 100 terabyte di informazioni, 32mila file tra immagini e video, di un numero incalcolabile di persone coinvolte.
La polizia ha utilizzato le immagini in suo possesso, ma anche quelle delle telecamere poste a bordo dei mezzi pubblici, nelle stazioni, dei media e di tutte le foto amabilmente inviate da alcuni «onesti cittadini» su un portale di ricerca (ovverosia di delazione).

Il commissario alla protezione dei dati stima che questa procedura «usurpa in maniera significativa i diritti e le libertà di un grande numero di persone», reclama la soppressione del database e l’interdizione del software Videmo360. Gli sbirri, dal canto loro, vorrebbero continuare a giochicchiare con questo ninnolo da svariati milioni di euro, per quanto non sia servito a identificare granché fino oggi (tre persone nell’ambito del G20). Prova ne è la nuova serie di 54 volti pubblicata questa settimana sul sito della Hamburg Polizei. Con la speranza di suscitare nuove vocazioni all’infamata.


Infama il tuo black bloc (screenshot dal sito della Hamburg Polizei)

Questa è dunque l’atmosfera nella quale si è aperto questo processo-spettacolo, su cui ogni attivista, giurista o politichetto è d’accordo: è destinato a scrivere un capitolo della storia giuridica tedesca e potrebbe compromettere irreversibilmente il diritto a manifestare. E, dato che nessuno spettacolo sarebbe tale senza pubblico, l’ipotesi di un processo a porte chiuse è finalmente stato abbandonato. Le prossime udienze, l’8 e il 10 gennaio, saranno aperte al pubblico. Questi atti e quelli che seguiranno porteranno la loro infornata di rivelazioni sulla debolezza del dossier e, forse, risposte ad alcune domande.
Per esempio: la sbirraglia tedesca può permettersi quel che le pare quando si autoinvita all’estero?
O ancora: il black bloc è il risultato di una «cooperazione deliberata e fondata sulla divisione del lavoro», come afferma il procuratore?
E che cos’è esattamente il «supporto mentale» che i manifestanti «pacifici» sono accusati di aver fornito a chi commetteva degradazioni?
Si può essere riconosciuti colpevoli di eventi sopravvenuti nel corso di una manifestazione anche se non si era più presenti?
Si può seriamente credere che l’andatura di una persona sia unica e identificabile come le sue impronte digitali?
Il dramma che lo Stato si ostina a scrivere probabilmente non virerà verso toni da commedia. Per il momento, ognuna delle future udienze deve essere un’occasione per sottolineare quanto siano ridicole le accuse e la pertinenza degli atti di resistenza impiegati. L’occasione, soprattutto, di portare agli imputati il proprio sostegno — siano essi nostri compagni o nostri amici, attori loro malgrado di questa farsa grottesca. I primi presidi si sono tenuti a Parigi, Nancy, Friburgo, Francoforte e Berlino la settimana scorsa, insieme a una grande manifestazione per le strade di Amburgo alla vigilia dell’apertura del processo.
Fuochi d’artificio sono stati lanciati dai tetti degli squat vicini, e canti si sono levati davanti alle mura della galera in cui tre degli accusati sono ancora detenuti. L’indomani, gli imputati sono entrati in aula accompagnati dagli applausi, e sono usciti a pugno chiuso. Il processo sarà lungo, ed è a loro che va il nostro pensiero in questi giorni!

Libertà per Loïc!
Libertà per tutte e tutti i prigionieri del G20!
Comité de soutien transfrontalier

DATE DEI PROSSIMI PROCESSI
Gennaio: 8, 10, 15, 17, 22, 24, 29, 31 Febbraio: 7, 8, 14, 15, 20, 21
Marzo: 18, 22, 28, 29
Aprile: 4, 5, 25, 26
Maggio: 2, 3, 9, 10
NB: l’udienza del 8/01 durera solo una quindicina di minuti.

CONTRIBUZIONE ALLE SPESE LEGALI E DI SOSTEGNO
La difesa di Loïc, la sua vita in prigione e gli spostamenti per andare a portargli sostegno portano con sé parecchie spese. Se volete e potete partecipare, vi preghiamo di inviare le vostre donazioni all’associazione CACENDR precisando «Don pour Loïc» sulla causale del bonifico. Grazie!
Via assegno: Cacendr, 5 rue du 15 septembre 1944, 54320 Maxeville Via bonifico : Link all’IBAN

LA SPINOSA QUESTIONE DEI LIBRI
Loïc vuole libri, molti libri, un sacco di libri per — come dice — «sfamare l’arma intellettuale». Divora circa due libri al giorno (certamente non della Pléiade, non più) in una piccola cella, tra le ore di sonno e le manciate di minuti d’aria.
Le regole dell’amministrazione penitenziaria per farglieli pervenire sono chiaramente molto rigide: in particolare, devono essere nuovi, già dichiarati all’amministrazione, eccetera. I primi libri inviatigli gli sono arrivati dopo un mese e mezzo.
Se volete partecipare a questo atto di solidarietà, e per evitare doppioni negli invii, il meglio che si possa fare è fare una donazione affinché glieli si possa procurare.

Se siete librai, editori o editrici, autori o autrici e volete esprimere il vostro sostegno con dei libri (copia saggio, nuovi o in ottimo stato eccetera) non esitate a contattarci all’indirizzo: soutienloic@riseup.net, gli farà molto piacere. Grazie!


Presidio a Baldenich (BL) e proiezione al Pz

LA PENA DI MORTE SOCIALE

Chiamiamo Pena di morte sociale questo decreto sicurezza-immigrazione. Ovvero la morte sociale per decreto di Stato di tutti quelli che non possono o non vogliono ridurre le loro relazioni sociali, i desideri, i loro affetti, dentro un circuito infernale determinato dalla capacita di reddito, di consumo, di mobilità mercantile. Al di fuori di questa gabbia resta solo la sopravvivenza ai limiti. La ribellione, la trasgressione, la lotta sono invece le uniche vie di fuga, l’unico cortocircuito. Continue reading


Hamburg 17/3 ANTIREPDEMO!

SBATO 17/3 MANIFESTAZIONE CONTRO LA REPRESSIONE, PER LA LIBERTÀ DEI COMPAGNI ANCORA IN CARCERE DAL LUGLIO SCORSO, TUTTI LIBERI TUTTE LIBERE!

With the G20 summit in Hamburg a few months ahead, the signal was obvious: whoever leaves the governmentally sanctified frame of protest will face severe punishment… Leggi l’appello 

Freedom for all G20 prisoners! Freedom for all prisoners!

COME TO HAMBURG TO THE ANTI-REPRESSION DEMO ON 17.03.2018 AT 2 PM, GÄNSEMARKT.
UNITED WE STAND!

 


Corteo! Solidali e complici di Fabio!

Sabato 2 dicembre alle 15 appuntamento al piazzale della Stazione di Feltre per un corteo solidale con Fabio e con tutt* gli imputat* di Amburgo! A seguire, presidio in Largo Castaldi con interventi e musica.

Poi ci spostiamo al PostaZ, che alle 21:3o parte il party con DEMIS VINYL NIGHT! ONLY FOR HARD DANCERS!

– Il PostaZ – più che mai per una vita non imposta!


AMBURGO: INCONTRO, MANIFESTAZIONE, PROCESSO. FABIO LIBERO! TUTT* LIBER*!

La settimana prossima saremo ad Amburgo. Il 3-4-5/11/17  per un INCONTRO TRANSNAZIONALE NO G20 E MANIFESTAZIONE AL CARCERE DI BILLWERDER, il 7/11 al PROCESSO di FABIO.

L’incontro, che si terrà al Rote Flora, è stato pensato da compagni/e della campagna UNITE WE STAND come momento di approfondimento dei legami e delle azioni di solidali, amici, parenti dei compas colpiti dalla repressione lo scorso luglio, parte dei quali sono ancora in carcere, COME FABIO. Molti delle quali affronteranno i processi nel prossimo futuro.

Domenica 5 novembre, come ogni prima domenica del mese, ci sarà la manifestazione davanti al carcere di Billwerder.

Martedi 7 novembre invece saremo al tribunale di Altona per portare la nostra solidarietà e quella di tutti e tutte le compas e gli amici di FABIO, sequestrato dallo Stato tedesco e chiuso in una gabbia dal 7 luglio (cioè da 4 mesi!).

FABIO NON È SOLO, TUTTI E TUTTE LE NOSTRI COMPAS COLPITI DALLA REPRESSIONE NON SONO SOLI/E!

UNITE WE STAND!


RIFLESSIONI PER SQUARCIARE UN VUOTO (70 GIORNI SENZA FABIO)

“Bisogna che accettiamo il fatto che la lotta,

in questo mondo, è  essenzialmente criminale,

poiché tutto è divenuto criminalizzabile”

                         ( Maintenant, comité invisible)

 

Scriviamo queste righe nella totale incertezza di quello che sarà il futuro prossimo di Fabio, il nostro giovane compagno detenuto nel carcere minorile di Hanhöfersand, Amburgo, da più di 70 giorni.

Un’enormità, che sommati ai 33 giorni scontati da Maria nel carcere di Billwerder, ci danno la misura di quello che spetta a chi ha osato, anche solo per pochi istanti, contestare i 20 padroni del mondo.

Ragionare su questa sproporzione, capire quello che sta accadendo al di la dell’emergenza di liberare i  compagni, non ci darà certo sollievo, ma almeno ci permetterà di trarre alcuni insegnamenti per il futuro. Quando la repressione si abbatte è bene fare tesoro dell’esperienza, seppur dolorosa, perché è chiaro che il trattamento che gli Stati riserveranno a chi si ostina a voler cambiare il mondo e a chi semplicemente non se ne sta tranquillo nel posto e nel ruolo ad esso riservato, sarà forse ancora peggiore.

È stato scritto tanto sulle giornate di Amburgo, sulla rivolta e sulla resistenza che è stata opposta da migliaia di persone e dai quartieri di San Pauli e dello Schanze, all’enorme dispositivo repressivo messo in campo dal ministro degli Interni tedesco De Maziére/De Misère e dal capo della polizia Hortmundt Dudde. Un gigantesco dispiegamento di uomini e dotazioni con il palese scopo, ancora una volta, di testare sul campo i mezzi e le strategie contro insurrezionali che i governi di tutta Europa stanno sviluppando. Del resto pochi giorni prima del vertice lo stesso Dudde dichiarava: “Potete stare certi che qui ad Amburgo vedrete tutte le possibili dotazioni della polizia tedesca”. Seguito a ruota da Andy Grote, ministro degli interni della città Stato: “Le forze di sicurezza vedranno ogni ostacolo, seppur pacifico, come fonte di assoluta emergenza. Non si fermeranno davanti a nulla”.

Lo stato di emergenza inaugurato con quelle le giornate non è cessato in Germania: 26 ragazzi sono ancora detenuti dalle giornate del G20, diverse decine affronteranno i processi, che per alcuni degli arrestati sono iniziati a fine agosto, con pesanti condanne sulla base di sole testimonianze degli sbirri. A questo si aggiungono le perquisizioni a casa di compagni e compagne e attacchi a a spazi di movimento, la chiusura del nodo tedesco di Indymedia. La campagna elettorale tedesca ha preso poi una deriva anti movimento, con allucinanti proposte di legge contro “gli autonomi” e chiunque si ponga al di fuori delle “loro” leggi e del loro ordine…

La sospensione di qualsivoglia diritto di manifestani, sospettati e arrestati, le prove nella quasi totalità dei casi basate unilateralmente solo sulle dichiarazioni degli sbirri, ci danno la misura del baratro nel quale è precipitato il cosidetto “stato di diritto”. Anzi: della sua evoluzione in un laboratorio del peggio possibile, per testare il quale le giornate di Amburgo hanno rappresentato il tavolo di lavoro. È un fatto talmente evidente che anche il più ingenuo tra i sinceri democratici farebbe fatica a negare.

È proprio su questo che tutti, anche qui, dovrebbero ragionare, facendo lo sforzo di liberarsi dai pregiudizi che affliggono il “cittadino” ogni volta che qualcuno turba l’ordine pubblico, ogni volta che la quotidianità nel suo svogersi uguale e prevedibile, giorno dopo giorno, viene scossa.

È indubbio che a Feltre e non solo, una grande solidarietà si è sviluppata attorno a Fabio, Maria e a tutti gli arrestati di Amburgo sin dai primi giorni. Lasciamo perdere i corvi che ne hanno approfittato per qualche comparsata nei giornali o in tv, dei quali prima o poi sarà utile fare nomi e cognomi. Lasciamo poi nella fogna da cui sono uscite, le idiozie vomitate da fascistelli e benpensanti, nella cloaca di Internet. E tiriamo lo sciacquone.

Parliamo qui di tutta la gente che si è spesa per i ragazzi arrestati, che ha partecipato e partecipa alle iniziative di solidarietà, che in qualche modo ci ha messo la faccia e sta contribuendo a far sì che la vicenda non sia relegata nel privato di famiglia e amici, ma rimanga viva nelle menti, nei cuori e nelle azioni. Perché ci riguarda tutti.

È da qui che bisogna partire, sforzandoci di non banalizzare la questione, anche quando espirimiamo la nostra solidarietà.

Lo shock e lo sconforto che hanno colto tutti i solidali alla notizia che proprio i nostri amici, proprio due ragazzi che conosciamo bene, sono stati arrestati, è  uno di quei macigni che ci piovono addosso e nella quasi totalità dei casi ci colgono impreparati. E il meccanismo automatico di difesa è di far rientrare quello che sta succedendo in categorie che ci tranquillizzano. Quasi ad allontanare da noi spettri che ci fanno paura, perché potrebbero aprire squarci sulle nostre sicurezze, sulle nostre convinzioni.

Questo è uno di quei momenti in cui è meglio per tutti essere chiari.

Chi ha partecipato alle giornate di Amburgo lo ha fatto con tutta l’intenzione di urlare in faccia ai padroni del mondo tutto lo schifo e lo sdegno per come il mondo è stato ridotto. Decine di migliaia di persone erano in quelle strade contro il razzismo, lo sfruttamento, i muri e i confini, le nocività, la gentrificazione. Contro la guerra ai poveri e all’umanità che chi comanda in questo mondo sta muovendo con tutte le sue forze. Erano li per affermare l’amore e il rispetto per la dignità umana. Disponibili a battersi per questo!

La gran parte di quelle persone, poi, ha portato ad Amburgo la voce, i desideri e le pratiche ti tutti quelli/e che non potevano esserci. Quei percorsi che quotidianamente animano la vita di tante persone e movimenti: la gente della “nostra” parte.

Chi era li era conscio che non sarebbe stata una passeggiata, che la polizia non è sulla strada per garantire qualsivoglia diritto, se non quelli dei padroni di turno. Che i padroni del mondo non sono disposti a perdonare chi li contesta. Chi c’era sapeva che non sarebbe stata una festa. Del resto sbirri e politici il sangue lo avevano promesso apertamente.

Per questo è ridicola e senza fondamento l’operazione di chi in malafede, ma spesso anche in buonafede, ogni volta divide i manifestanti in buoni e cattivi. Con questi ultimi che si infiltrerebbero tra i buoni per rovinare passeggiate colorate che non si sa come ci avrebbero altrimenti portato ad un mondo migliore…

La narrazione ufficiale nei giornali locali ha parlato spesso, in questo periodo, dei nostri amici e amiche come di ingenui sprovveduti che si sarebbero trovati nel momento e nel posto sbagliato. Dimenticando, una su tutte, Genova 2001. Per fare un esempio che ancora brucia per tanti/e anche qui in provincia, visto che in tanti “sprovveduti/e” c’eravamo, anche da qui. A Genova polizia, carabinieri, guardia di finanza, forestali, hanno massacrato indiscriminatamente sia chi era disposto ad attaccare, sia chi li aspettava a mani alzate… black bloc, boy scout e buddisti…

Disorganizzati si (forse), sprovveduti no!

Sprovveduto e ingenuo è chi pensa che le forze dell’ordine esistano per difenderci noi, e non Trump, Merkel e Gentiloni…

Sprovveduto e ingenuo (se in buona fede e non tutti in questa vicenda lo sono stati/e…) è chi davanti alla telecamera ha sparato cazzate tipo: “nel pieno rispetto di polizia e magistratura tedesche”. Cioè: di chi ha picchiato, brutalizzato e rinchiuso i nostri compagni/e? Di chi decreta che Fabio “ha un gene criminale” e “disprezza la dignità umana”, sulla base della testimonianza dei servi in divisa?

Ingenuo e sprovveduto è chi alla fiaccolata del 10 agosto a Feltre è intervenuto piu o meno cosi: “mi fa male vedere una mia amica in carcere per colpa di criminali che sfasciavano le macchine”…

Chi si ostina a mantenere, nonostante tutto, una goffa postura democratica, rispettosa delle istituzioni che garantiscono e difendono questo schifo, o è dalla loro parte (schifo compreso), o, seppur in buona fede, sta infliggendo a se stesso, al proprio cuore e alla propria anima, una violenza enorme.

Un compagno tempo fa, citando la criminologia ufficiale, disse che il carcere ha una funzione”ortopedica”. Serve apposta a raddrizzare la schiena di chi non rispetta le regole (le loro). Serve a far “camminare rettamente (questo significa “ortopedia”) rispetto ai percorsi che sono stati stabiliti dalla societa’, di costringere alle sue strade, alle sue mete e ai suoi ostacoli tutti gli individui”…

Può sembrare un’evidenza, ma fidatevi non lo è. E questa è una di quelle occasioni, nella vita, in cui possiamo comprendere bene il mondo in cui viviamo. Sulla dura esperienza dei nostri amici, certo, ma è una delle cose che possiamo fare perché tutto quello che sta accadendo ci faccia fare un passo avanti!

L’invito che facciamo è di guardare alle giornate di Amburgo e a quello che stanno subendo ancora tanti compagni incarcerati come Fabio, senza i pregiudizi che ci prendono davanti alle scene di violenza montate ad arte in tv, senza la paura di buttare lo sguardo oltre i muri delle nostre esistenze. Essere disposti a far si che lotta e solidarietà siano le nostre armi, lasciando perdere scorciatoie istituzionali, politiciste, gli “amici li in alto” che potrebbero darci una mano in cambio di una bella raddrizzata…

Questo può essere un modo per far si che i mesi di vita rubati ai nostri compagni dallo Stato, non siano stati vani.

E poi, metti il caso: e se dalle crepe aperte nelle nostre sicurezze, inaspettato, passasse un sole mai visto?

Il Postaz


23-24/9 a feltre benefit contro la repressione


Domenica 3/9 ore 16:00 Feltre


Domenica 3/9 dalle 16:00, Largo Castaldi: SOLIDALI E COMPLICI CON I COMPAGNI ANCORA IN CARCERE!

Solidarietà agli/lle arrestati/e del G20 ad Amburgo

Feltre domenica 3/9 dalle 16:00 – tutt* in Largo Castaldi per un pomeriggio di controinformazione e musica

Facciamo sentire la nostra solidarietà e supporto ai ragazzi ancora in carcere!
FABIO LIBERO! TUTTI LIBERI TUTTE LIBERE!