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Contro razzismo e frontiere


Succede a Vicenza

Quello trascritto qui sotto è un testo scritto da alcuni amici della persona coinvolta. Oltre che per dargli la massima diffusione lo riportiamo perché, purtroppo, ben si inserisce nel fosco quadro di politiche securitarie della città berica, di cui abbiamo già avuto modo di parlare prima, dopo e durante le iniziative contro il carcere di fine gennaio.


Succede a Vicenza
Tra lotta agli “abusivi”, caccia al migrante e nottate folli nelle mani dei questurini

Quello che si sta per raccontare è un gesto di denuncia, un atto di solidarietà spiccia a partire da un fatto recentemente accaduto in città. Protagonisti di questa disgustosa narrazione sono alcuni ragazzi di provincia che, al termine di una bella serata passata a festeggiare tra amici, hanno avuto la sfiga di incontrare per puro caso… la polizia.
È stata sufficiente una banalissima lamentela in stazione, i toni un po’ accesi perché ti girano i coglioni se vedi l’autobus ignorarti, anche se l’autista ha visto benissimo che hai il biglietto e stai aspettando che si fermi per salire e tornartene finalmente a casa.
È bastato così poco per giustificare l’intervento delle forze dell’ordine: intervento insolitamente rapido e, ovviamente, “Muscolare”. Infatti, prima che i protagonisti di questa brutta vicenda avessero il tempo di chiarire agli agenti la situazione, questi ultimi si sono premurati di neutralizzare il più “agitato” del gruppo con l’abbondante utilizzo di spray urticante (è il secondo caso nel vicentino, in cui viene utilizzato questo strumento di “contenzione”).
Ma questa storia non finisce qui! Il giovane intossicato, viene ammanettato e condotto in questura per la stesura del verbale, il foto-segnalamento e la rilevazione delle impronte digitali.
È risaputo e comprovato il fatto che nei meandri oscuri di caserme o prigioni vengono compiute indicibili nefandezze che spesso rimangono ignote, incapaci di penetrare oltre quelle mura di omertà, corroborate dall’indifferenza di una stampa prezzolata che dà ascolto soltanto alle veline dei servi in divisa. Continue reading


Da Conetta ad Agna: il miglio grigio

Alcune riflessioni sul corteo in memoria di Sandrine Bakayoko

 La nebbia che abbiamo visto sabato non avvolgeva solo il tratto di strada che separa Conetta e Agna: oltre a essere una caratteristica del paesaggio, essa pervade le coscienze dei cittadini così come i corpi dei profughi, invisibili dietro le sbarre dell’ex caserma di Cona, dove  sono stipati oltre 1300 sans papier.

Al nostro arrivo, oltre ai 150 migranti e alla cinquantina di solidali, il consueto spettacolo del comitato di benvenuto: una decina di “arrabbiati” e “preoccupati”, triste espressione del razzismo fanatista e xenofobo che ben conosciamo.

Nonostante la nebbia che avvolge la pianura,le strade e i cuori, non ci è stato difficile scorgere i loro volti e gli striscioni inneggianti all’odio sociale: Il sempreverde “Italia agli italiani”,“Pretendiamo + sicurezza, – profughi”…  preso atto della freschezza dei contenuti espressi, il corteo  ha ritenuto opportuno destinarli al miglior uso possibile: lustrarsi le scarpe.

L’obiettivo della manifestazione non erano gli abitanti di Cona e Conetta, come è stato reso chiaro fin da subito dai profughi stessi, ma la logica capitalista che fa del migrante una merce  da gestire, trasportare e allocare all’occorrenza (meglio se lontano dalla vista dei cittadini); nel peggiore dei casi, una merce da imprigionare o rimpatriare. Gli slogan che abbiamo sentito e urlato lungo il “miglio grigio” che separa Conetta da Agna chiedevano “rispetto, diritti, dignità” ma anche “il rilascio immediato di un permesso di soggiorno umanitario a tutti i migranti”; e non sono ovviamente mancate parole di sincera stima alle forze dell’ordine che presidiavano il corteo, come “fuck the police” e “tout le monde déteste la police”.

Sciolto il presidio, ci siamo incamminati. Un’altra passeggiata nella nebbia più fitta, dove questa volta le uniche certezze visibili erano le volanti, accorse premurosamente ad assicurarsi che giungessimo sani e salvi alle nostre vetture – assistendo persino, con incrollabile spirito voyeuristico, alla pisciata di qualche compagno.

Sulla via del ritorno, ripensavamo a quanto ci avevano detto i profughi sulle loro condizioni: c’è chi dorme accampato in tenda per mancanza di spazi, chi è malato da settimane e non riceve assistenza medica… c’è chi invece, come Sandrine, viene lasciata morire in un cesso a 25 anni. Eppure, pensavamo, siamo più che mai nella necessità di considerare la situazione nel suo insieme, e non soltanto nelle singole circostanze, per quanto gravi e disumane. Dai naufragi nel mar Mediterraneo (che solo nel 2016 si è portato giù oltre 4000 persone) allo sbarco, dallo smistamento d’ufficio senza possibilità di appello all’accoglienza nelle cooperative umanitarie – spesso rivolte unicamente al potenziale guadagno offerto da questo mercato – per finire con la degradante realtà dell’intolleranza, alimentata dalle destre razziste, e dalla gestione  unilaterale di ciòche i prefetti chiamano “emergenza profughi”.
Il problema ovviamente non è il profugo in sé, ma un sistema globale di sfruttamento il cui mezzo è la guerra e il cui unico fine è il profitto a discapito di milioni di persone costrette a fuggire.

Al nostro ritorno, gli striscioni erano stati nuovamente tesi tra le fronde degli alberi spogli, perfettamente leggibili e anzi ancora più in tono con lo strato di merda che li inzaccherava. A completare il quadretto, quattro volanti a garantire la libertà d’espressione dei poveri razzisti. I fasci c’erano, più o meno assortiti e perfettamente a loro agio tra polizia, carabinieri, protezione civile e digos; e sempre troppi. I compagni e le compagne, invece, forse troppo pochi per una giornata che credevamo più sentita. È stata comunque per noi un’occasione di lotta, di incontro e di dialogo con chi, come noi, combatte per un’alternativa all’esistente.

Sabato abbiamo percorso un miglio grigio nella nebbia: solo attraversandola tutta potremo rivedere il sole.