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Appello ai convinti: una critica anti-autoritaria al Black bloc

Gli avvenimenti del primo maggio 2018 a Parigi sono ormai diventati il metro sul quale misurare le differenti posizioni di movimento. In questo articolo, un’altra critica nei confronti della tattica del Black bloc e delle pratiche dispiegate in quell’occasione.

 

4 maggio

 

A rischio di fare quelli che sparano sulla croce rossa, abbiamo scelto la via del disincanto. Per noi la manifestazione del 1º maggio è stata un fallimento, e la strategia autoritaria imposta dal Black bloc non è stata né giustificabile né tantomeno vantaggiosa per il resto della manifestazione. Ne prendiamo atto collettivamente, e invitiamo a oltrepassare le nostre pratiche ritualizzate nel corteo di testa. 

 

È veramente sorprendente che ogni manifestazione in cui ci sia un confronto con la sbirraglia, malgrado il contesto sociale tendenzialmente cupo, venga salutata come una vittoria. Un po’ come se sfasciare un sacco di vetrine equivalesse a un gol segnato dalla propria squadra preferita. Come un sol uomo, il gruppo di supporter fa la ola per poi tornare a casa in attesa del prossimo incontro, del prossimo scontro.

Ci sembra che l’interesse puntuale e circostanziato di un Black bloc non consista in questo, e che ci stiamo piano piano rinchiudendo in un trip egotico e autoritario.  

Lungi dal condannare in maniera generale le azioni dirette da parte dei manifestanti, facenti o meno parte del Black bloc, ci piacerebbe rimetterlo in questione da un punto di vista strategico e da una prospettiva anti-autoritaria. Per noi infatti poco importa che venga dato fuoco a un McDonald’s o a una concessionaria Renault: bruciateli anche tutti!

Secondo noi, però, non si può procedere con un’azione diretta senza riflettere:

  1. sulla pertinenza dell’obiettivo
  2. Sulla finalità politica dell’azione diretta
  3. Sulle circostanze della manifestazione in causa
  4. Sull’inclusione e la comprensione da parte del resto della manifestazione o della popolazione

 

Un fallimento strategico

Alcuni membri del Black bloc del primo maggio, a nostro avviso, non si sono posti correttamente queste domande. Un blocco che molto spesso si intestardisce a buttarsi nella mischia e a fuggire l’avanzata delle truppe distruggendo tutto al suo passaggio.

Il fatto di essersi precipitati direttamente sul McDonald’s e sugli obiettivi adiacenti proprio all’inizio della manifestazione ha provocato:

  1. il blocco della manifestazione, che non è mai avanzata
  2. una pressione che si è riversata sui manifestanti non equipaggiati e in parte accerchiati sul Pont d’Austerlitz
  3. di fatto, lo smembramento di uno dei più grandi cortei di testa della storia, che ha perso tutta la sua forza potenziale
  4. l’imbocco del percorso-bis indicato dalla prefettura da parte dei cortei sindacali
  5. una repressione molto dura e molti arresti
  6. una campagna mediatica incentrata sull’opinione pubblica volta ad aumentare l’intensità della repressione

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Riflessioni sugli sfasci in manifestazione e sugli avvenimenti del 1º maggio

Continuano gli approfondimenti sulla primavera francese. In questo articolo, alcune riflessioni sulla pratica della casse e del black bloc.

 

da  Paris Luttes, 2 maggio 2018

 

Ci siamo: tutti i media ne parlano. Le politiche di destra li condannano fermamente, auspicando una maggiore repressione; le politiche di sinistra tentano di far passare i casseur per dei finti manifestanti infiltrati per screditare il movimento sociale contro Macron. 

Gli avvenimenti del primo maggio a Parigi sono sulla prima pagina di tutti i giornali. BMF TV e compagnia cantante sono ormai un disco rotto, e tutti hanno come al solito diritto all’abituale logorrea sui cattivi-teppisti-vestiti-di-nero-ma-chi-sono-costoro?

Quanto accaduto il primo maggio a Parigi ci dà l’occasione per qualche riflessione sulla pratica dello sfascio, sul suo trattamento politico e mediatico, così come sul dibattito strategico che necessariamente apre.

Cominciamo dall’inizio. Cos’è la casse e che cos’è un black bloc?

 

Cos’è la casse

La casse (sfascio) è una pratica orientata alla distruzione di beni materiali specifici, identificati come nemici. Si rivolge dunque ai simboli dello stato (commissariati di polizia, gendarmerie, veicoli delle forze dell’ordine), ai simboli del capitalismo (banche, compagnie assicurative, agenzie immobiliari, catene di fast-food, spazi espositivi, boutique di lusso), o ancora ai simboli dell’arroganza borghese (come auto e hotel di lusso). La casse è una pratica, non un fine. Gli sfasciatori non distruggono per distruggere, spinti da un malsano piacere per la distruzione degli oggetti; e, se pure a volte questa tendenza esiste, è da considerarsi assolutamente minoritaria. Questo modo di agire si chiama “propaganda col fatto”. È un metodo di ispirazione anarchica che cerca di passare dalle affermazioni e dalle posizioni di principio all’azione. Questo fa della casse un metodo illegale e accettato in quanto tale. L’idea che vi sta dietro è infatti l’accettazione della conflittualità con lo Stato e il capitale, ma anche l’infrazione dei limiti stabiliti e autorizzati da questi ultimi.

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Cosa fate realmente quando accusate i casseur di essere sbirri

Traduciamo e pubblichiamo il primo di alcuni approfondimenti sulla “primavera illimitata” francese (ma non solo) apparsi in questi giorni su Paris luttesIl primo articolo, del 2015, ci aiuta a chiarire, dopo il primo maggio a Parigi, le stronzate della “sinistra” pro-sbirri.

Certe tendenze politiche hanno la fastidiosa abitudine di seminare tesi paranoiche non appena la situazione sfugge al loro controllo.

Negli ultimi giorni, reiterando una messinscena trita e ritrita, sono stati Mélanchon e Besancenot a prendere la parola per stigmatizzare e denigrare i casseur, per accomunarli ai loro stessi nemici: gli sbirri.

Mélanchon ha pubblicato, all’indomani della morte di Rémi Fraisse, uno stato Facebook nel quale accusava i militanti che hanno affrontato direttamente la polizia alla ZAD di essere dei barboni avvinazzati e puzzolenti, di estrema destra, verosimilmente pagati dallo Stato o dai comitati pro-barriere di Testet, per “screditare” il movimento di posizione e occupazione…

 Una settimana dopo, tocca a Besancenot ritrasmettere il segnale a BMF TV. Mostra delle foto prese da una manifestazione a Nantes, dove si vedono dei poliziotti in borghese, a volto coperto. Secondo costui, sono lì per “organizzare direttamente o indirettamente delle violenze urbane”, e pretende una commissione d’inchiesta sui casseur.

Eppure che cos’è un casseur? Un individuo che compie atti di devastazione urbana. Non un modo di vestire, checché ne dicano alcuni; né tantomeno un equipaggiamento, checché ne dicano altri.

Portare un cappuccio fa di te un casseur?

Spaccare vetrine o danneggiare banche… fa di te uno sbirro? Con tutte queste accuse e queste associazioni tra poliziotti e casseur, non è che rischiamo di privare i militanti/manifestanti della scelta delle loro pratiche?

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Incontro con Andrea Fumagalli al Postaz

L’economia mondiale è drogata. Quando si attutiscono gli effetti dirompenti dei mutui subprime, si apre la crisi del debito pubblico con il peso nefasto delle politiche di austerity. Appena si affaccia una timida ripresa, ecco il crollo del prezzo del petrolio, la crisi bancaria e il rallentamento della Cina e dei paesi Brics che rimettono di nuovo tutto in discussione. L’instabilità è diventata endemica e le droghe assunte (il quantitative easing o il Jobs Act) non fanno più effetto. Forse perché non sono adeguatamente psichedeliche?
Un tempo la psichedelia era infatti sinonimo di creatività, sperimentazione, innovazione e sovversione. Ora regnano l’impotenza e la depressione sociale. Forse perché la finanza e la mercificazione economica si sono appropriate non solo del corpo ma anche dei cervelli, dei sensi e dell’eros, costringendoli a vivere una vita di elemosina e precarietà?
Questo volume di agile lettura, utilizza la metafora dei Grateful Dead, non solo per rendere omaggio a uno dei gruppi musicali che più ha inciso sulla cultura alternativa, ma per discutere criticamente l’evoluzione dello spirito libertario negli Usa, nato negli anni sessanta e riapparso nelle ultime due decadi nell’ideologia libertarian, fondata sulle libertà individuali, l’antistatalismo e il primato dello spirito del self-made man. Grateful dead economy analizza le tre parole chiave al centro del dibattito politico del nuovo millennio: il concetto di comune, lo spirito open source e il ruolo delle monete alternative.

Andrea Fumagalli insegna economia politica presso le università di Pavia e di Bologna. Si occupa di tematiche relative alle trasformazioni del capitalismo, alla precarietà del lavoro e al reddito di base. Collabora con il sito di discussione politica e militante “Effimera”. È autore, fra gli altri, di Bioeconomia e capitalismo cognitivo (2007) e Sai cos’è lo spread? (2012).

http://www.agenziax.it/grateful-dead-economy/